La lotta per la salvaguardia del territorio (e delle sue tradizioni) si può fare con successo: ecco cosa ci ha raccontato Claudio Polano, presidente dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese.

Gianluca Saccavini

Young Reporter della Riserva della Biosfera

La nostra generazione – quella nata dagli anni ‘90 in poi – è quella che spera di “salvare il mondo” a colpi di post sulle storie di Instagram. A volte, far vedere che abbiamo a cuore una causa sembra quasi più importante che agire per risolverla.

Spesso, l’azione finisce lì, ma non per pigrizia. Forse, rispetto alle generazioni passate, siamo cresciuti certamente più connessi alle questioni globali, ma molto più disconnessi dalle lotte che si possono combattere sul territorio in cui viviamo.

Per fortuna, esistono tante storie che ci ricordano che per cambiare il mondo a volte è meglio partire, letteralmente, dal fiume dietro casa.

Una di queste è sicuramente la storia di Claudio Polano, presidente dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, che di battaglie ne ha combattute tante e che ha deciso di condividerne alcune con noi.

Un museo a cielo aperto

Claudio ci accoglie nella sua casa di Gemona del Friuli, una villetta ben curata dove vive con la moglie e coltiva un orto rigoglioso in cui, ci tiene a dirci: “Non entrano pesticidi o fertilizzanti chimici”.

Pescatore fin da ragazzino, ha esplorato in lungo e in largo i corsi d’acqua del territorio, prima da fruitore passivo, e poi da guardiano vigile: da 34 anni fa il guardapesca volontario e per vent’anni ha rappresentato il Gemonese per la gestione della pesca sportiva in Regione, con un occhio di riguardo per l’ambiente.

Un percorso culminato anni fa con la nomina di presidente dell’Ecomuseo delle Acque. Ed è proprio delle attività dell’ecomuseo, piuttosto che della sua vita, che Claudio freme a parlarci.

La prima cosa che viene in mente leggendo la parola “museo” è un edificio chiuso, che racchiude opere o reperti ben custoditi dietro delle teche. Un ecomuseo, al contrario, è un museo “diffuso”, senza pareti: il suo confine è il territorio stesso, fatto di paesi, corsi d’acqua, boschi e tradizioni.

Ecco perché l’Ecomuseo delle Acque si estende su sei comuni del Gemonese (tra cui Gemona del Friuli, Montenars e Artegna, comuni che sono anche parte della Riserva della Biosfera delle Alpi Giulie) e lavora per conservare e rinnovare l’identità culturale e ambientale di questa parte del Friuli.

Qui, natura e memoria si intrecciano: il fiume Ledra unisce i paesi a livello paesaggistico e ambientale, mentre le attività dell’Ecomuseo cercano di legare tra loro persone, associazioni e istituzioni.

La tutela dell’ambiente non è separata dalla vita della comunità: ogni progetto nasce dal coinvolgimento diretto dei residenti e ha lo scopo di migliorare il luogo in cui vivono.

Claudio ce lo racconta con passione, raccontando esempi concreti di attivismo che vanno dalla valorizzazione delle tradizioni del territorio, fino alla difesa degli habitat del bacino idrico.

I roccoli di Montenars: una tradizione da mantenere viva

Un tempo, salendo verso il comune di Montenars, si passava accanto a decine di strutture verdi a forma di ferro di cavallo. Erano i roccoli, trappole diffuse nel 1700 che servivano a intercettare gli uccelli migratori con delle reti nascoste tra arbusti di carpini bianchi.

Erano in uso fino a qualche decennio fa, quando servivano effettivamente per sopravvivere: per gli abitanti della montagna, qualche pettirosso o fringuello poteva fare la differenza in quella che era una dieta spesso povera di proteine.

“Si mettevano delle gabbiette con gli uccelli di richiamo” – ci racconta Claudio – “che poi cantavano per chiamare i compagni. Poi, l’uccellatore lanciava un panno scuro per simulare l’arrivo di un predatore. A quel punto gli uccelli scappavano e finivano nelle reti intorno”.

Oggi, la cattura è vietata, e dei circa 60 roccoli originari, ne rimangono solo quattro, curati da alcune famiglie che potano le piante ogni anno.

L’Ecomuseo ha trovato un modo per ridare vita a questi luoghi senza scomodare inutilmente i volatili: ogni anno organizza concerti di musica popolare, che in estate trasformano i roccoli in piccole arene naturali.

Il contratto di fiume: un’azione collettiva per proteggere un corso d’acqua

Forse non tutti sanno che il fiume Ledra nasce proprio a Gemona, per poi sfociare nel Tagliamento, in località Cimano di San Daniele. Per gli abitanti dei comuni che attraversa, è più di un corso d’acqua, è un filo connettore tra territori e comunità.

Da questa consapevolezza, e da uno sforzo di cui Claudio è stato catalizzatore, è nata l’idea di stipulare un contratto di fiume: un processo compartecipato in cui amministrazioni e associazioni di pescatori, agricoltori, ciclisti, escursionisti e cittadini (insomma, di chiunque partecipi alla vita vicina al fiume) si siedono intorno a un tavolo per immaginare insieme il futuro dell’intero bacino.

Per Claudio, il bisogno del contratto è lampante: “Non bisogna fare interventi spot: bisogna guardare il fiume nella sua interezza, capire dove sta bene e dove soffre. Solo così le soluzioni durano”.

L’obiettivo non è solo la sicurezza idraulica, ma anche il miglioramento della biodiversità e della qualità dell’acqua. Questo significa discutere di depuratori che non funzionano, di tratti degradati, di sponde da proteggere.

C’è anche un cambio di mentalità da promuovere per gli interventi fluviali: “Troppo spesso gli ingegneri pensano a liberare l’acqua e portarla a valle il più velocemente possibile. Ma così si aumenta la sua forza distruttiva. La natura ci insegna a fare il contrario: trattenerla a monte, rallentarla, darle spazio per sfogarsi senza fare danni”.

Il contratto di fiume è un percorso lungo, fatto di riunioni, passeggiate naturalistiche, sopralluoghi. Ma per l’Ecomuseo è una sfida che vale la pena affrontare, perché il Ledra è il cuore di un’intera comunità.

La battaglia per il torrente Leale (e per i suoi abitanti)

Ci sono luoghi che resistono al tempo quasi per caso. Il torrente Leale, vicino ad Avasinis, è uno di questi: un corso d’acqua che scorre in una forra intatta da migliaia di anni, dove la vegetazione e la fauna, secondo i biologi, sono rimaste le stesse da 10.000 anni.

Qui vivono specie rarissime come il gambero d’acqua dolce, il raponzolo di roccia e l’ululone dal ventre giallo.

Un progetto di centralina idroelettrica avrebbe cambiato tutto, deviando l’acqua dalla forra e compromettendo l’intero ecosistema. “Quando l’ho saputo – racconta Claudio – ho contattato subito un esperto della Società Erpetologica Italiana e insieme abbiamo messo in piedi un comitato per difendere questo habitat”.

La battaglia ha coinvolto cittadini, associazioni e il Comune di Trasaghis, che ne sono usciti vincitori. Alla fine, infatti, il progetto è stato fermato e l’area è stata persino riconosciuta come biotopo regionale (un’area definita con caratteristiche fisiche e chimiche specifiche che ospita una specifica biocenosi, ovvero una comunità di organismi viventi come piante, animali, funghi, ecc.).

Per Claudio, questa vittoria non è solo ambientale: “Abbiamo dimostrato che, se ci si muove in fretta e con le persone giuste, si può proteggere un luogo per sempre”.

Una lezione da imparare

I progetti dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e le imprese di Claudio ci ricordano che la tutela dell’ambiente e delle tradizioni popolari non sono solo un’idea astratta, ma una pratica che si fa forza dell’amore per il territorio e di una rete di persone che non vogliono lasciarlo degradare.

Due componenti fondamentali per qualsiasi azione di salvaguardia di culture ed ecosistemi.

Per saperne di più sulle iniziative e la realtà dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese: